lunedì 4 novembre 2013

#COMUNICAZIONE intesa come processo sociale di condivisione della conoscenza (potere), ha assunto ormai una centralità strategica in tutte le sfere della prassi individuale e collettiva: considerando fondata l'equazione conoscenza = potere, ne consegue che tutti i processi, le dinamiche e gli strumenti finalizzati alla condivisione della conoscenza non potranno che determinare una condivisione del potere o, comunque, una riconfigurazione dei sistemi di potere.






La società della conoscenza spinge le organizzazioni complesse a configurarsi come sistemi sociali aperti che tentano di governare l'incerto attraverso la condivisione di una cultura organizzativa e progettuale. La comunicazione, intesa come processo sociale di condivisione della conoscenza (potere), ha assunto ormai una centralità strategica in tutte le
sfere della prassi individuale e collettiva: considerando fondata l'equazione conoscenza = potere, ne consegue che tutti i processi, le dinamiche e gli
strumenti finalizzati alla condivisione della conoscenza non potranno che determinare una condivisione del potere o, comunque, una riconfigurazione dei sistemi di potere. È in questa prospettiva d'analisi che si inserisce la riflessione e l'analisi critica sul ruolo essenziale della comunicazione pubblica - sui processi e gli strumenti che la connotano - vera e propria
"cinghia di trasmissione" tra sistema di potere e società civile in grado di ridefinire i confini della cittadinanza e le forme del vivere democratico
(differenza tra cittadinanza e sudditanza). Nel complesso rapporto tra cittadino e Stato (P.A.), i valori fondanti della trasparenza e dell'accesso alle
informazioni si rivelano così ancor più decisivi in un'epoca segnata da una sfera pubblica sempre più "ancella" del sistema di potere, dall'ipertrofizzazione degli apparati burocratici e dalla progressiva
dissoluzione dello spazio pubblico.



Piero Dominici

Sfera pubblica e società della conoscenza 
(2008)

La ricerca di un paradigma più flessibile

L’avvento della modernità complessa [Dominici 2005] ha innescato, tra le molteplici dinamiche, un processo di ipertrofizzazione degli apparati burocratici risultanti dal rafforzamento dei vecchi Stati-nazione che, a sua volta, ha determinato la progressiva dissoluzione di quello spazio pubblico definito dallo stato di diritto come il “luogo” in cui tutte le istanze sociali, le modalità della rappresentanza politica e, soprattutto, la tutela dei diritti devono trovare legittimazione e riconoscimento da parte delle collettività.
Il processo di evoluzione dei neonati regimi democratici, spesso culturalmente fondati sul concetto di “sovranità popolare”1 e sulla mancata definizione del rapporto tra i valori fondanti della libertà e dell’uguaglianza [Rawls 1971; Dworkin 1978; Maffettone 1991; Sen 1992; Bobbio 1995], ha causato una radicale politicizzazione della sfera pubblica che, articolatasi poi in istituzioni politiche e in nuove istanze sociali in cerca di un riconoscimento pubblico e di una traduzione operativa in norme di diritto, è andata configurandosi sempre più – con il suo carattere di globalità – come “sistema autopoietico”.

1 “Sovranità popolare” intesa come egemonia o predominio delle maggioranze.


Lo spazio operativo della sfera pubblica si è visto in tal modo drasticamente ridimensionato, in maniera peraltro inequivocabile, alla sola questione della “rappresentanza”. La politica entra in crisi forse proprio nel momento in cui la sfera pubblica si configura sempre più come ancella del sistema di potere. In quel momento viene meno, cioè, per dirla con Habermas, quel livello di mediazione tra sistema e mondo della vita che si fonda su un agire comunicativo in grado di tematizzare criticamente istanze sociali e opinioni generatesi all’interno del mondo della vita e della società civile, dando loro piena legittimità oltre che rilevanza pubblica.
La rivoluzione digitale e il conseguente avvento della Network Society [Castells, 1996], il progresso tecnologico e il mutamento culturale globale in atto hanno determinato una complessificazione della prassi e, in particolare, delle interazioni sociali senza precedenti nel percorso evolutivo dei sistemi sociali. Il processo di de-costruzione di tutti i paradigmi scientifici e dei sistemi di orientamento conoscitivo e morale (politica) – iniziato e portato avanti dal pensiero del Novecento – sta procedendo a ritmi talmente sostenuti da rendere estremamente complicata la definizione e la formulazione di modelli interpretativi del reale.
L’inevitabile dilatazione della prassi (non soltanto politica) costringe, pertanto, la comunità scientifica a ripensare, se non addirittura a riformulare, le stesse categorie concettuali – e, tra queste, quella di “sfera pubblica”2 che si è rivelata assolutamente centrale – che hanno consentito per molto tempo la decodifica dei mutamenti socio-culturali.

2 Per avere un quadro di riferimento introduttivo al tema si veda W.Privitera [2001], opera nella quale l’Autore prende in esame i diversi modelli di sfera pubblica e riflette criticamente sulla crisi della sovranità popolare nell’era della globalizzazione.


Ed è proprio questa dilatazione a richiedere un significativo sforzo a studiosi e intellettuali, nel tentativo di elaborare un paradigma più flessibile del concetto di “sfera pubblica” - e di quello di “opinione pubblica” [Price, 1992]. Tale necessità si rende ancor più urgente proprio in questa dimensione rivelatasi – come detto - assolutamente strategica per il progresso dei regimi democratici e, forse, per la loro stessa sopravvivenza. Ad essere in gioco sono i diritti di cittadinanza, vale a dire l’accesso alle informazioni ed alle conoscenze ma anche, e soprattutto, la possibilità di un loro utilizzo più consapevole e produttivo – produzione sociale di conoscenza - finalizzato ad incidere sulle decisioni politiche e la dialettica democratica (comunicazione come trasparenza). Perché si può essere “sudditi” anche in un regime democratico. Affermando ciò, dovremmo allargare il discorso – ma non è questa la sede – al tema fondamentale della scuola e dell’istruzione perché, inevitabilmente, una scuola diseguale produce e ri-produce una società diseguale. A maggior ragione, in sistemi sociali che non riescono a garantire neanche l’eguaglianza delle opportunità di partenza. Si tratta, pertanto, di una ridefinizione di assetti e gerarchie (concetto di disintermediazione) che (ri)configura lo spazio di un “sapere condiviso” e chiama in causa questioni legate alle criticità, non solo strutturali, della società della conoscenza: digital divide, asimmetrie informative/conoscitive, competenze, formazione, (nuove) responsabilità. Si tratta di tematiche fondamentali, che non possono non essere affrontate anche a livello internazionale3: in caso contrario, ci troveremo di fronte ad una società della conoscenza che rafforzerà ulteriormente élite e gruppi di potere (locali e globali). Anche perché le nuove tecnologie dell’informazione stanno contribuendo in maniera decisiva al processo di costruzione di una nuova sfera pubblica metanazionale caratterizzata da modalità di interazione sociale del tutto innovative, in grado di stravolgere le tradizionali logiche della dialettica democratica e della rappresentanza e, più in generale, dell’arena politica ormai anch’essa globale4. Ma l’innovazione tecnologica senza cultura non porta mai troppo lontano o, quanto meno, non allarga la base di chi può trarne beneficio.
L’era dell’E [Beck, 1993], dominata da ambivalenza ed entropia, si configura sempre più come società della comunicazione edificata sulla condivisione delle informazioni e delle conoscenze5. Un fase in cui, tuttavia, si assiste alla crisi, sempre più preoccupante, del welfare provocata da un complesso processo di mutamento del mercato del lavoro, che sta ridisegnando l’intera stratificazione sociale a livello locale e globale; rendendo, oltretutto, la precarietà una condizione esistenziale e indebolendo il sistema dei diritti e delle tutele.

3 Non a caso gli analisti più attenti e critici parlano di società civile transnazionale e di sfera pubblica postnazionale.
4 Si pensi al dibattito contemporaneo, estremamente articolato, sulla questione della democrazia e delle sue possibili “derive” (concetto di “postdemocrazia”), legate paradossalmente proprio alle maggiori opportunità (concetto di “poliarchia”) che la democrazia stessa definisce e determina. Si vedano in particolare: L.Canfora [2004]; C.Crouch [2000]; R.Dahl [1998]; J.Dunn [2005]; G.Sartori [1992]; G.Schiavone [2001]. Per un’introduzione chiara ed esauriente al concetto, si rimanda alla voce curata dallo stesso Norberto Bobbio per il celebre Dizionario di politica, UTET, Torino [ed.1983 e 1990], diretto da N.Bobbio, N.Matteucci, G.Pasquino.
5 In tal senso, occorre essere profondamente consapevoli che la cosiddetta “economia della conoscenza” deve necessariamente fondarsi proprio sulla condivisione di questa straordinaria risorsa immateriale; condivisione che costituisce il pre-requisito fondamentale senza il quale viene negata di fatto la possibilità della produzione stessa di conoscenza.  


L’attuale sistema-mondo, caratterizzato dalla radicale incertezza dei sottosistemi che lo costituiscono, introduce nell’analisi altre variabili funzionali alla produzione di nuove disuguaglianze sempre, e comunque, correlate alla possibilità di accedere, gestire e produrre conoscenze indispensabili per esercitare i diritti di cittadinanza. La cosiddetta società globale del rischio [Beck, 1999b] obbliga di fatto i vecchi Stati-nazione a ideare e mettere in campo politiche sempre più mirate alla crescita economica: allo stesso tempo, si tratta di strategie che non riescono anche a prevenire completamente i rischi generatisi nel frattempo: e per far questo, è necessario ricercare il supporto delle opinioni pubbliche.  

 La comunicazione si conferma, oltre che come “valore aggiunto” della cosiddetta modernizzazione riflessiva, anche come vera e propria “essenza dell’uomo contemporaneo”. Sono emerse, in tal senso, diverse sollecitazioni all’approfondimento. In particolare, lo spunto più importante potrebbe essere così sintetizzato: le nuove tecnologie della comunicazione, oltre a far saltare progressivamente (dis-intermediare) qualsiasi meccanismo di mediazione politica e/o sociale, hanno il potere, forse illimitato, di estendere le possibilità e le occasioni comunicative dell’umanità, facilitando l’accesso e lo scambio di informazioni e conoscenze tra gli individui (società della conoscenza). Detto in altri termini, la Grande Rete (Internet) accresce in maniera esponenziale le condizioni per una distribuzione capillare delle capacità di comunicare, calcolare e archiviare le informazioni stesse; questo aspetto non deve essere assolutamente sottovalutato, dal momento che costituisce il principale indicatore della straordinaria trasformazione delle dinamiche e dei processi economici (e socioculturali) in atto a livello globale. Va anche sottolineato che questo sistema reticolare mondiale pone il Soggetto “di fronte al mondo incerto” e gli richiede conseguentemente un livello sempre più elevato di conoscenze anche, e soprattutto, per essere fino in fondo “cittadino” . Gli osservatori più critici e pessimisti, a questo punto, osservano che il singolo sarà “solo” di fronte al mondo, che gli si prospetterebbe come realtà virtuale, con un peso forse insostenibile, “solo” con le sue scelte illusorie o predeterminabili da chi detiene il potere o da un gruppo sociale di appartenenza reinventato o riplasmato dallo stesso sistema della comunicazione globale. Gli osservatori più spassionati ed ottimisti, invece, vedono nella molteplicità delle occasioni comunicative e nell’estensione delle sfere raggiungibili, altrettante “chances” di scelta per il singolo, scelte libere di ogni tipo, pragmatico-operativo, tecnico-conoscitivo, psicologicamente autonome e moralmente valutabili di volta in volta, scelte comunque mediate attraverso i valori del gruppo sociale di appartenenza. L’attenzione della nostra analisi va posta, in particolare, sulla qualità delle attuali interazioni comunicative che caratterizzano la nuova sfera pubblica, riflettendo sulla comunicazione come processo sociale, caratterizzato da un “ecosistema comunicativo” di relazioni, più o meno, simmetriche. L’ambivalenza del processo di glocalizzazione [Robertson, 1995] non può che avere ricadute sui singoli attori sociali, sulla qualità delle loro relazioni e sulle reti di interazione sociale di cui fanno parte (oltre che, evidentemente, sui sistemi e sulle organizzazioni), all’interno delle quali – come Mead ha opportunamente dimostrato – si strutturano l’autocoscienza, la razionalità, le identità culturali e, soprattutto, i significati condivisi che rendono possibile la “società”.






Per un nuovo contratto sociale: il ruolo delle “soggettività etiche”


La comunicazione etica – non è inutile ripeterlo – “costruita su principi razionali acquisiti in maniera intersoggettiva e finalizzata alla conoscenza condivisa, può avere un ruolo davvero importante a molteplici livelli di criticità: nella rinascita di un Umanesimo garante dei fondamentali diritti di cittadinanza globale; nella formazione della “società civile transnazionale” [Beck, 1997]; nella effettiva realizzazione di una politica interna mondiale che, seppur con modalità estremamente criticabili, i vecchi stati-nazione iniziano a perseguire; nella decisiva promozione, a livello globale, di strategie finalizzate a realizzare quella “società della conoscenza diffusa” che, nel lungo periodo, potrebbe costituire - in un’epoca nella quale le informazioni, le conoscenze e l’accesso [Rifkin, 2000] ad esse rappresentano le fonti di ricchezza e di potere più importanti – una risorsa inesauribile per la riduzione delle disuguaglianze mondiali6 e per la questione cruciale dei diritti umani e di cittadinanza. Ad un livello “micro”, non meno importante, i presupposti della comunicazione etica e sociale e del modello della condivisione della conoscenza potrebbero definitivamente determinare un salto di qualità senza precedenti nelle prassi organizzative (interne ed esterne) degli stati-nazione, delle pubbliche amministrazioni e delle imprese, soprattutto in un sistema produttivo che si configura sempre più come società dei servizi.
Nel portare avanti questo “progetto”, legato ad una Diskursethik che ricerca l’eguaglianza e la responsabilità degli attori coinvolti nell’atto comunicativo, è necessario confrontarsi con i percorsi del pensiero, non soltanto etico, del Novecento, portatore del valore del relativismo [Nagel, 1997]7 e della sostanziale e universale – per dirla con Wittgenstein - eterogeneità dei giochi linguistici e delle forme di vita.
L’atto linguistico permette di creare una “relazione intersoggettiva”, in quanto chi lo produce crea contemporaneamente una relazione sempre riferita ad un sistema di regole: la comunicazione è, in tal senso, alla base del contratto sociale. Il concetto di “intersoggettività” costituisce l’elemento fondante l’identità individuale e gli stessi principi etici, comunque autonomamente selezionati, si originano all’interno di dinamiche discorsive e, più in generale, comunicative razionalmente fondate e orientate verso un’intesa che non può essere imposta8.


6 Disuguaglianze che sono anche politiche e culturali.
7 E.Tugendhat [1984] definisce il “relativismo” come la “constatazione di una molteplicità di convinzioni morali reciprocamente contraddittorie […] che avanzano ciascuna una propria pretesa assoluta” [p.69].
8 La teoria di Jürgen Habermas risente molto, sotto questo aspetto, dell’influenza di George Herbert Mead che, nel proporre l’interessante concetto di “Altro generalizzato”, arriva ad affermare che “L’atteggiamento dell’altro generalizzato é l’atteggiamento dell’intera comunità. (...) Nel periodo astratto l’individuo assume l’atteggiamento dell’altro generalizzato verso se stesso (...) solo così il pensiero - o la conversazione internalizzata dei gesti che costituiscono il pensiero - si dà” [Mead, 1934:154].

 Il Soggetto si ritrova direttamente coinvolto in una fitta rete di rapporti sociali che é preesistente all’affermazione della sua personalità e che lo condiziona: “Il processo da cui il sé emerge é un processo sociale che implica l’interazione degli individui nel gruppo, implica la preesistenza del gruppo” [Mead, 1934: 164].
Pur nella diversità delle prospettive, alla base dell’opera di questi studiosi che costituiscono il collante teorico di tutta la nostra analisi, sta il profondo convincimento che “La socialità non è un accidente né una contingenza; è la definizione stessa della condizione umana” [Todorov, 1995: 29]: tutti gli individui sono segnati da un’incompletezza originaria che viene colmata soltanto nel corso dell’esistenza sociale9. Dunque, è solo nel corso del processo di socializzazione, e all’interno delle reti (comunicative) di interazione sociale, che l’attore sociale, oltre a strutturare la sua coscienza di sé e la sua identità, inizia a tessere e, successivamente, ad alimentare la trama del sistema dei valori etici e conoscitivi, che costituisce la base per il consenso [Habermas 1981a: 199]. All’interno di questo processo10, il medium della “lingua corrente” svolge una funzione fondamentale, per non dire vitale, per il sistema stesso, orientandolo verso l’intesa ed il reciproco riconoscimento da parte di tutti i soggetti. Una centralità che richiede consapevolezza – e capacità di controllo – della natura complessa delle “competenze comunicative” e che si manifesta nella produzione della cultura e, in particolare, nel processo di costruzione sociale dei significati condivisi a

9 “La fonte di ogni giudizio è nel riferimento all’altro […] e dunque tanto l’etica quanto l’estetica non possono nascere che in società. Non possiamo giudicarci senza uscire da noi stessi e guardarci con gli occhi degli altri. Se si potesse allevare un essere umano in isolamento, questi non potrebbe esprimere alcun giudizio, neppure di sé: gli mancherebbe uno specchio per vedersi” [Todorov, 1995: 34].
10 Ciò può avvenire nel momento in cui “I soggetti capaci di parlare ed agire vengono anzi costituiti quali individui solamente perché, in quanto membri di una comunità linguistica ogni volta particolare, crescono in un mondo della vita intersoggettivamente diviso. Nei processi di formazione comunicativi si costituiscono e si conservano cooriginariamente l’identità del singolo e quella del collettivo” [Habermas, 1991: 11].



livello locale e globale. Si deve inoltre prendere atto, oltre che del potenziamento dei mezzi, del processo di proliferazione dei canali comunicativi e delle modalità comunicative.
Nell’era della glocalizzazione, la riflessione del sociologo e filosofo tedesco risulta particolarmente attuale, soprattutto per ciò che riguarda la sua ricerca dei prerequisiti universali decisivi per realizzare l’intesa con l’ALTRO. Intesa che, anche per Apel (che parla di atti di comunicazione linguistica), si realizza sulla base di una razionalità comunicativa e non della razionalità dei mezzi e dei fini formulata da Weber. Intesa che potrebbe essere tradotta in termini operativi come scambio delle risorse conoscitive, riduzione dell’incertezza globale, riconoscimento dei “diritti di cittadinanza globale”, condivisione di (alcuni) principi etici e normativi11, politiche transnazionali di sviluppo, formazione di una società civile transnazionale, politiche educative per la società multiculturale e per educare alla cittadinanza.
Ed è, in tal senso, che nella teoria dell’agire comunicativo, nel tentativo di fondere insieme teoria dell’azione e teoria dei sistemi e, avvertendo l’esigenza di una razionalità comunicativa, emerge il rapporto dialettico esistente tra “agire strumentale” e “agire comunicativo”, tra “sistemi” e “mondo della vita”. In particolare, il concetto di “mondo della vita” (Lebenswelt) è il meccanismo essenziale che assicura la riproduzione dei sistemi sociali:

11 Processo che, non senza difficoltà, sta già avvenendo a livello di diritto internazionale.


Sotto l’aspetto funzionale dell’intendersi l’agire comunicativo serve alla tradizione e al rinnovamento del sapere culturale; sotto l’aspetto del coordinamento delle azioni esso serve all’integrazione sociale e alla produzione di solidarietà: sotto l’aspetto della socializzazione l’agire comunicativo serve infine alla formazione di identità personali. Le strutture simboliche del mondo vitale si riproducono attraverso la continuazione del sapere valido, la stabilizzazione della solidarietà di gruppo e la formazione di attori imputabili. Il processo di riproduzione collega situazioni nuove agli stati esistenti, e precisamente nella dimensione semantica dei significati e dei contenuti (della tradizione culturale) altrettanto come nelle dimensioni della spazio sociale (di gruppi socialmente integrati) e del tempo storico (delle generazioni in successione). A questi processi della riproduzione culturale, dell’integrazione sociale e della socializzazione corrispondono, quali componenti strutturali del mondo vitale, la cultura, la società e la persona […] Il campo semantico di contenuti simbolici, lo spazio sociale e il tempo storico costituiscono le dimensioni nelle quali si estendono le azioni comunicative. Le interazioni intrecciate nella rete della prassi comunicativa quotidiana costituiscono il medium attraverso il quale la cultura, la società e la persona si riproducono [Habermas, 1981b: 730-731].


 Lo stesso Habermas precisa che questi complessi processi riproduttivi riguardano in modo particolare le strutture simboliche del mondo vitale, dalle quali è fondamentale distinguere il substrato materiale del mondo vitale e i mezzi che ne rendono possibile il mantenimento12. Il linguaggio, finalizzato all’intesa con l’Altro, basandosi su presupposti comunicativi universali che richiamano il concetto di “intersoggettività”, permette di trascendere la sfera intima e privata di ogni individuo, mettendolo in condizione di partecipare empaticamente al discorso.
Nella cosiddetta società del rischio, la conoscenza diventa essa stessa fattore di rischio e vulnerabilità per i sistemi: lo straordinario potenziamento delle modalità comunicative e la radicale differenziazione dei canali dell’offerta formativa (policentrismo formativo) hanno comportato una crescente capacità di autodeterminazione da parte del Soggetto in fatto di scelte, valori, modelli di comportamento, schemi cognitivi. Ma ad essere sconvolto nel suo complesso è il sistema simbolico condiviso. Il concetto di “intersoggettività senza costrizione” è, in tal  senso, davvero produttivo in termini di ricadute positive per il nostro discorso. 

12 In questo caso, tornano in gioco le categorie weberiane, in quanto “La riproduzione materiale si compie attraverso il medium dell’attività in vista di uno scopo, con la quale gli individui socializzati intervengono nel mondo per realizzare i propri fini” [Habermas, 1981b: 731].


Ciò significa elaborare modelli e strategie funzionali al consolidamento delle importantissime reti di relazione sociale (oggi anche virtuali), all’interno delle quali l’attore sociale si orienta e la sfera pubblica si costituisce.
Il sistema-mondo e la nuova economia informazionale, globale e interconnessa, richiedono una nuova sensibilità per le problematiche riguardanti il Soggetto, i rapporti sociali e lo “spazio del sapere”. Habermas ci viene, ancora una volta, in aiuto formulando i concetti di interrelazione ed intersoggettività, che si rivelano interessanti anche, e soprattutto, nell’ottica di un rafforzamento della sfera pubblica politica [Habermas, 1962] transnazionale. Ad essere investite da questo importante mutamento sociale sono state tutte le dimensioni della prassi individuale e collettiva: dalla politica all’economia, dall’etica all’estetica. In altre parole, in questa nuovo “tipo” di sistema sociale, caratterizzato dal coinvolgimento delle masse nei meccanismi di produzione e consumo delle merci e dei servizi, si trasforma il rapporto del Soggetto – e del suo gruppo di riferimento – con il potere, con la conoscenza, il lavoro, il consumo stesso13 e la fruizione estetica.
Il processo di convergenza tra le tecnologie della comunicazione porta con sé anche grandi possibilità di civilizzazione. E’ fondamentale che, di fronte a mutamenti di questo rilievo, si rifletta a fondo, oltre che sull’impatto, anche sui possibili progetti da realizzare, dal momento che «Le decisioni tecniche, l’adozione di norme e di regolamenti, le politiche tariffarie, contribuiranno, lo si voglia o no, a dar forma all’impianto collettivo della sensibilità, dell’intelligenza e del coordinamento che andranno a costituire domani l’infrastruttura di una civiltà su scala mondiale» [Lévy, 1994: 15]. Si delinea così, per l’uomo moderno - che potremmo definire suggestivamente «individuo multimediale»14 - una prospettiva inedita di nomadismo, in cui lo spostamento non si verifica più a livello fisico (spostandosi da un punto all'altro nello spazio), bensì navigando a vista attraverso innumerevoli «mondi di vita» - spesso virtuali, ma non per questo meno stimolanti e carichi di valenza simbolica (anzi) - ed infinite «province di significato». L’intelligenza, con l’aiuto delle tecnologie informatiche, potrà essere distribuita ovunque e costantemente valorizzata, generando una nuova civiltà della comunicazione e del sapere condiviso. Non a caso, i principali studiosi e teorici della modernità radicale e della globalizzazione avvertono come primaria l’esigenza di una ricollocazione della politica o, addirittura, di una sua reinvenzione15.
Un ri-posizionamento della politica e del sistema di potere che si rende necessario non soltanto rispetto alla sfera pubblica ma anche rispetto ai singoli attori sociali, capaci addirittura di produrre la “propria” cultura e di stabilire una “propria” agenda delle priorità che il sistema di potere sarà costretto a considerare. Si tratta di individui – occorre ribadirlo con forza – probabilmente slegati dalle tradizionali appartenenze, sempre più autonomi e consapevoli delle loro scelte come stanno, peraltro, ad indicare alcuni fenomeni – statisticamente rilevati – tra cui la radicale differenziazione dei consumi non soltanto culturali e la proliferazione delle cosiddette “diete multimediali”.

13 Su questo tema cfr., in particolare, l’interessante concetto di “consumo vistoso”, definito come simbolo di status sociale e strumento di prestigio individuale in una società competitiva, nell’opera di T.Veblen [1899] che, nonostante tutto, conserva intatte originalità e attualità dell’analisi; tra le voci molto critiche si veda anche la breve, ma interessante, raccolta di scritti, pubblicati su riviste francesi e italiane, di J.Baudrillard [1987].
14 Insieme alle questioni del digital divide e della privacy, avevamo affrontato l’argomento in P.Dominici [1998].
15 Il titolo originale dell’opera di Ulrich Beck [1993], Die Erfindung des Politischen, tradotto in italiano con L’era dell’E, significa in realtà “La reinvenzione della politica”.







"Pensiero complesso" e condivisione della conoscenza. Interpretare 
e "governare" il mutamento


Un’ulteriore conferma di questa urgenza viene dall’interessante processo di crescita di movimenti politici e di gruppi di pressione che, non riconoscendosi nelle tradizionali ideologie egemoni e nel sistema dei partiti, si assumono la responsabilità di confrontarsi con il Sovrano su istanze sociali generatesi dal basso, all’interno di reti di discussione pubblica, che però dovranno trovare necessariamente una loro traduzione operativa. Siamo di fronte ad una sfera di discorso che è stata fin troppo ridimensionata dal dominio dell’economia (anch’essa destinata a rigenerarsi dal basso), dal weberiano impietrimento nella meccanizzazione e, soprattutto, dalla tecnocrazia16 e dalla tecnoscienza [Bucchi, 2006; Virilio, 2002], che hanno sostituito quasi completamente l’ambiente naturale con un ambiente artificiale plasmato e strutturato dalle tecnologie17. Una sfera di discorso depotenziata che, al contrario, deve assolutamente tentare di riguadagnare i suoi spazi decisionali, tenendo conto delle opinioni, delle istanze e dei movimenti germogliati in una configurazione multireticolare.
L’obiettivo cruciale è governare la globalizzazione: un processo complesso che richiede un pensiero complesso (oltre ad una logica sistemica) e che si sta evolvendo in maniera del tutto autonoma, quasi in una sorta di autopoiesi18 e che, conseguentemente, tende a delinearsi sempre più come un mega-sistema autoreferenziale capace di generare e riprodurre da sé gli elementi che lo strutturano.
La complessità insita nel processo di globalizzazione e nella società del rischio ci obbliga a riformulare le categorie dell’agire politico – su tutte, quella di “sfera pubblica” - e ad allargare i nostri orizzonti di pensiero e di azione: occorre, cioè, “elaborare una politica che non si limiti a seguire le regole, ma le cambi, una politica non solo dei politici, ma della società, non solo di potenza, ma di configurazione, un’arte della politica” [Beck, 1993: 25]. Anche perché la stragrande maggioranza di quelle regole fondamentali sono nate in un contesto di Stato-nazione forte, nel quale le categorie dicotomiche politica interna/politica estera risultavano adeguate. Un ripensamento complessivo

16 All’interno della complessa e, allo stesso tempo, ben articolata riflessione sulla tecnica e sulla cosiddetta “tecnocrazia” - potere affidato agli “esperti” e fondato sulla tecnica e sul sapere scientifico - si veda, in particolare, l’introduzione alle principali teorie sull’argomento di M.Nacci [2000]; per una rivisitazione critica dell’ideologia tecnocratica cfr. C.Finzi [1977]. Si veda anche, in una prospettiva più ampia, U.Galimberti [1999]. Per ciò che riguarda, invece, la prassi politica e il concetto di “tecnopolitica” rinviamo a S.Rodotà [1997].
17 Su queste tematiche si vede l’opera di S.Latouche [1995]. Si vedano anche R.Marchesini [2002] e H.Popitz [1995] insieme alla prefazione di F.Ferrarotti.
18 Utilizzo questo termine nell’accezione che ne dà Niklas Luhmann riferendosi al concetto di “sistema”: vale a dire, come la capacità del sistema di difendersi dalle minacce dell’ambiente, non attraverso un migliore adattamento a questo, bensì creando esso stesso gli elementi che lo costituiscono ed evolvendosi, così, in maniera del tutto autonoma. Vorrei qui ricordare che Luhmann definisce il “sistema” a partire dalla distinzione sistema/ambiente, introducendo anche il concetto di “mondo”. Per “mondo”, il sociologo e filosofo tedesco intende la realtà esterna al sistema (insieme delle possibilità indeterminabili) caratterizzata da una complessità senza limiti; mentre al concetto di “ambiente” associa il significato di insieme delle possibilità determinabili effettivamente presenti in una situazione. Il “sistema”, invece, si distingue dall’ambiente in quanto insieme selezionato delle possibilità determinabili presenti nell’ambiente stesso. A tal proposito, Luhmann introduce, sempre riferendosi al “sistema”, il concetto di “autoriferimento”, volendo indicare la capacità del sistema di descriversi e percepirsi come unità. E’, quindi, il processo di riduzione della complessità dell’ambiente a strutturare il sistema, consentendogli di regolarsi autonomamente. Le “minacce” e gli stimoli dell’ambiente (complessità) diventano significativi per il sistema sempre nell’ambito della traduzione che esso ne dà in modo autoreferenziale. Per approfondire l’affascinante “teoria dei sistemi autoreferenziali” di Luhmann si veda N.Luhmann [1984]. Cfr. anche N.Luhmann, The Autopoiesis of social Systems, in Niklas Luhmann [1990]. Sul concetto di “autopoiesi” e di “sistema autoreferenziale” si veda la fondamentale opera – che ha profondamente influenzato il pensiero contemporaneo e tutta la “teoria dei sistemi” – dei due neurofisiologi cileni Humberto R.Maturana e Francisco J.Varela, i quali negli anni Settanta del secolo scorso formularono la famosa “teoria dei sistemi autopoietici”. Gli studi di Maturana e Varela hanno avuto, inoltre, il grande merito di analizzare la complessità di tutti i sistemi “viventi”, biologici e sociali, mettendoli a confronto. Rinviamo pertanto all’opera: H.R. Maturana, F.J.Varela [1980]. Per un ulteriore approfondimento, si veda N. Addario [1998].


di teoria e prassi, così come erano state concepite nella modernità industriale, che si inquadra nella prospettiva di una modernità radicale, in cui la dimensione della riflessività - intesa anche come autoanalisi, come presa d’atto di una complessità accresciuta e dell’esistenza di altre culture19 - ha assunto un peso molto rilevante, sia dal punto di vista teorico-concettuale che da quello pratico-strategico [Beck, A.Giddens, S.Lash, 1994; Ferrara, 1998].
Per dirla con Beck, la modernità industriale, con tutte le sue istituzioni di controllo e protezione, ha subito un processo di radicale invecchiamento, con il risvolto più volte ricordato della Risikogesellschaft, che inevitabilmente la spinge all’autocritica. Per dirla con Luhmann, nell’era della globalizzazione la dimensione di ciò che è (perlomeno in apparenza) tecnicamente controllato è divenuta ipertrofica rispetto a quella del non-tecnicamente-controllato e, considerato che la tecnica con i suoi nuovi poteri – i cui esiti sono, almeno per ora, difficilmente valutabili - porta con sé nuovi rischi ed incertezze a livello globale, possiamo senz’altro affermare che la prassi tecnologica, contemporaneamente all’avvento del mercato globale, ha reso i “mondi di vita” estremamente più incerti.

La comunicazione viene a costituire lo spazio socioculturale all’interno del quale vengono promossi e condivisi i significati, i simboli e le pratiche culturali funzionali ai processi di mediazione simbolica e di riduzione della complessità. In altri termini, la comunicazione permette ai valori, alle conoscenze ed ai modelli di comportamento propri di un sistema sociale di diventare egemoni creando equilibrio e consenso; al contrario, può anche consentire che si affermino nuovi paradigmi, orientamenti e credenze sia a livello teorico che pratico. E’ un processo che rappresenta una sorta di circuito multidimensionale che innerva il sistema-mondo nel suo complesso, i singoli sistemi sociali e le reti di interazione sociale esistenti tra gli attori che ne fanno parte (ecosistema). Ed è proprio attraverso la comunicazione (e il linguaggio) che gli attori sociali (e, perchè no, le persone) si sono sempre mostrati capaci non soltanto di adattarsi all’ambiente ma anche di trasformarlo; capaci non soltanto di accettare le oggettivazioni culturali, ma anche di negarle o metterle in discussione.
La modernizzazione riflessiva e la società del rischio globale, avendo esteso in maniera smisurata i confini dell’azione sociale e, soprattutto, quelli della prassi, rendono assolutamente necessaria l’estensione di un’azione e di una prassi eticamente orientate, basate su una comunicazione etica che non può che essere l’esito, tutt’altro che scontato, di un processo razionale di acquisizione intersoggettiva e, allo stesso tempo, di una profonda consapevolezza circa le “nuove” responsabilità e l’urgenza di una loro universalizzazione.
L’esperienza sociale si basa pertanto, da una parte, sul continuo intrecciarsi di relazioni reciproche e su complesse dinamiche tra i diversi ed i valori coincidenti con i fini sociali e, dall’altra, su una costante mediazione tra i conflitti che inevitabilmente si generano per la molteplicità degli interessi in gioco; conflitti che – in questo consiste la condotta etica e, ancor di più, la “vera” comunicazione (etica) – devono essere ricomposti attraverso la razionalità. La Politica nasce e si sviluppa, in un certo senso, proprio per assolvere la funzione strategica di “dispositivo” per la mediazione del conflitto.
Va ribadito che, nel complesso panorama della nuova comunicazione mondo, la Rete delle reti (Internet), protagonista assoluta di questo tempo, si configura come unico (meta)medium-messaggio responsabile dell’interconnessione globale [Castells, 2001; Breton, 2001; Carlini, 2002]. Un metamedium dai “lineamenti” ambigui e ambivalenti in grado, allo stesso tempo, sia di determinare la “fine del legame sociale” (o, quanto meno, il suo indebolimento) che di potenziare le sinapsi che uniscono gli snodi delle rete del sistema in cui si producono conoscenza, cultura, strategie di azione e cooperazione (capitale sociale20).


19 E dobbiamo prendere atto anche “della contingenza dell’appartenenza di determinati elementi a determinate culture” [Luhmann, 1992: 59].
20 Le reti sistemiche di relazione sociale definiscono le modalità degli scambi interindividuali (intersoggettivi), favorendo, in funzione della fiducia e della cooperazione che questi richiedono, il raggiungimento di obiettivi finalizzati alla realizzazione del “bene pubblico” e/o di un interesse collettivo. Ciò può implicare – in quanto non è scontato - una maggiore consapevolezza dell’importanza del rispetto delle norme e del “senso civico”: l’altruismo e il comportamento cooperativo tendono a configurarsi, in tal senso, come veri e propri “motori sociali” dello sviluppo. Cfr. J.S. Coleman [1990], con particolare riferimento alla seconda parte dell’opera in cui, oltre alla questione fondamentale del “capitale sociale”, si affrontano i seguenti argomenti: i sistemi di scambio sociale, rapporti e sistemi di autorità, i sistemi di fiducia, il comportamento collettivo e le norme efficaci (domanda e creazione).Si rinvia anche ad una lettura degli altri contributi contenuti nel volume [supra e infra].  







L’utopia della "Knowledge Society" e le opportunità di "modificare il sistema"


 La Knowledge Society costituisce, in tal senso, una straordinaria utopia fondata su concrete, oltre che inedite, opportunità di accesso alla conoscenza, alla sua produzione e distribuzione. La struttura reticolare di Internet e l’intensità dei flussi che questa consente possono semplificare la definizione di un rapporto più diretto tra “sfera pubblica” e “sfera privata”, tra sistema di potere e società civile, tra responsabilità individuale e responsabilità collettiva. L’affermazione di nuove forme di soggettività più autonome e responsabili21 potrebbe, per certi versi paradossalmente, creare le premesse fondamentali per lo sviluppo di una democrazia realmente “deliberativa” e non soltanto “procedurale”, anche se occorre prestare attenzione alle lusinghe ed alle retoriche della cittadinanza digitale. In altre parole, la proliferazione delle opportunità e delle forme di produzione sociale di conoscenza è destinata a portare con sé una rinnovata consapevolezza della valenza strategica della sfera pubblica e, con questa, l’urgenza di una riforma complessiva del pensiero (complesso) e del sapere22, che implica un’educazione alla cittadinanza.
Senza dimenticare che alla base di tutto si trova un complesso processo di trasformazione antropologica e sociale, che vede come dominatori incontrastati un po’ tutti i new media elettronici; un processo che investe direttamente l’agire individuale e collettivo – il potere, il (tele)lavoro, la creatività (scienza e arte), la conoscenza, la produzione - lasciando addirittura intravedere possibili scenari legati al trionfo di una democrazia mediatica (teledemocrazia) o di una repubblica elettronica [Grossman, 1995]; magari fondata su nuovi gruppi di pressione e/o comunità virtuali, che si fanno portatori di istanze sociali e politiche rimaste in passato latenti, avvolte nella spirale mediatica del silenzio, con l’obiettivo di strutturare l’agenda della politica.
La società globale del rischio ci richiede – volendo estremizzare il concetto – di globalizzare le eventuali soluzioni ai rischi ed alle incertezze del sistema-mondo.
Gli attori sociali della nuova sfera-pubblica transnazionale, in particolare coloro che in passato erano esclusi, all’interno di una nuova geografia dei rapporti di forza, sembrano destinati a recitare sempre più un ruolo strategico nell’ambito della dialettica politica, anche e soltanto per il fatto di essere diventati “produttori”(visibili) di un flusso costante, ed estremamente articolato, di informazioni e conoscenze (cultura), che

21 Che di fatto si configurano anche come nuovi stakeholders = portatori di interessi.
22 Su questi argomenti vorremmo ricordare alcune opere di Edgar Morin: si vedano, in particolare, E.Morin [1999a], E.Morin [1999b]; E.Morin [2002], volume che contiene anche un’interessante intervista di Antonella Martini all’intellettuale teorico della complessità e del “pensiero complesso”. Inoltre, proprio sulla questione, a nostro avviso, fondamentale del “pensiero complesso” rimandiamo a E.Morin [1990] e E.Morin, É.-R.Ciurana, D.R.Motta [2003].


 scardina il monopolio del tradizionale modello industriale23. Le nuove forme di produzione sociale generatesi dal basso metteranno sempre più a dura prova anche la tenuta dei sistemi di potere che, paradossalmente, trovandosi a dover gestire differenti forme di conflitto, potrebbero rintracciare modalità diversificate di configurazione strutturale, lasciandosi contaminare da ciò che è stato sempre “fuori dal sistema”24.
Quelle che ho definito le “nuove soggettività etiche”25, d’altra parte, con l’avvento della sfera pubblica globale e grazie alle maggiori opportunità di condivisione della conoscenza, sembrano destinate ad invadere e ri-conquistare prepotentemente lo spazio della politica: significa entrare nel sistema e, contribuendo a ri-modulare i rapporti di potere, incidere sempre più concretamente sui delicati meccanismi di definizione delle priorità e delle decisioni politiche. Elemento strategico che porta con sé il simultaneo rafforzamento delle strutture sociali della cooperazione e della fiducia, capaci di limitare i rischi derivanti dai comportamenti individualistici, antisociali o devianti.

23 Si pensi, per esempio, ai movimenti che si battono per i “beni comuni” e/o per l’apertura e la diffusione della conoscenza.
24 R.A. Dahl [1971] parla di “poliarchia” - e degli “indicatori” che la caratterizzano - proprio in termini di inclusività e partecipazione alla prassi democratica del più alto numero possibile di individui.
25 Quelle che, in questa sede, ho definito “nuove soggettività etiche” sono evidentemente soggettività portatrici di valori, di istanze e di una relazionalità diffusa [Mazza, Volterrani, supra], che si manifesta già nell’atto del generare e, successivamente, dell’elaborare atti linguistici e/o comunicativi che, nel loro strutturarsi, non possono che fare riferimento ad un sistema di regole, di codici e di procedure mediato culturalmente in grado di definire “nuove” relazioni di potere.



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(aggiornati al 2008)


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